Il ruolo della religione nel conflitto in Israele

Un riepilogo dei momenti salienti di questa nuova escalation di violenza

20 maggio 2021

Ragazzi nella Striscia di Gaza

Dalla settimana scorsa le tensioni tra Gaza e Israele sono riesplose. L’escalation di violenza ha ormai raggiunto livelli che non si erano più visti da anni, con Hamas che lancia centinaia di razzi verso l’area metropolitana di Tel Aviv e Israele che risponde con pesanti attacchi contro obiettivi di Hamas situati nella striscia di Gaza.
Le prime avvisaglie dell’attuale incendio, che alcuni indicano già come una nuova “intifada”, si sono avute diverse settimane fa in un quartiere di Gerusalemme vicino alla città vecchia, in prossimità della moschea al-Aqsa, uno dei luoghi più sacri dell’islam da oltre 1.200 anni.
Sebbene i musulmani si rechino nella moschea di al-Aqsa per pregare durante tutto il corso dell’anno, sono ancora di più i fedeli che essa attira durante il ramadan. Mercoledì 12 maggio segnava la fine del ramadan e l’inizio di
Id al-fitr, un momento di gioia per milioni di musulmani che terminano un mese di digiuno.
Non c’è dubbio che i nazionalisti ebrei più estremisti vorrebbero che Israele riprendesse la moschea al-Aqsa perché, secondo loro, si trova sulle rovine dell’antico tempio ebraico, il cui unico vestigio è il muro occidentale. Tuttavia, al di là del contesto generale del conflitto israelo-palestinese, la fede ha a che fare soltanto indirettamente con l’attuale esplosione di violenza. Quattro domande e quattro risposte per comprendere meglio la situazione.

1. Perché la polizia israeliana ha fatto irruzione nella moschea al-Aqsa? Il governo israeliano ha dichiarato che la polizia ha reagito dopo che i palestinesi hanno iniziato a lanciare pietre contro gli agenti. I palestinesi affermano che gli scontri hanno avuto davvero inizio quando lunedì 10 la polizia è entrata nel complesso della moschea e ha iniziato a sparare proiettili di gomma e a lanciare granate lacrimogene e stordenti. Oltre 330 palestinesi sono stati feriti. Le autorità israeliane hanno dichiarato che anche 21 dei loro agenti sono stati colpiti.
Tuttavia le tensioni sotterranee hanno forse più a che fare con una serie di scontri nel quartiere più esteso di Gerusalemme Est, conquistato da Israele durante la Guerra dei sei giorni nel 1967 e dove vivono attualmente circa 350.000 palestinesi. Infatti durante le settimane che hanno preceduto le violenze alla moschea al-Aqsa i palestinesi hanno protestato contro la minaccia di sfratto di famiglie palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est. Nella notte sono allora scoppiati violenti scontri tra palestinesi e polizia e coloni ebrei di estrema destra.
Questi scontri si inseriscono nel contesto di una lunga battaglia giuridica per determinare a chi spetti la proprietà. Alcuni palestinesi furono trasferiti a Sheikh Jarrah dal governo giordano negli anni Cinquanta del secolo scorso dopo essere fuggiti dalle loro case durante la guerra arabo-israeliana del 1948.
Lunedì 10 maggio la Corte suprema israeliana avrebbe dovuto decidere se confermare lo sfratto di sei famiglie dal quartiere di Sheikh Jarrah a favore di coloni ebrei. La Corte ha poi rinviato la decisione.

2. Si tratta quindi di un conflitto fondiario? Su larga scala sì. A Sheikh Jarrah, in particolare, la lite ha avuto origine nel 19. secolo, quando ebrei residenti all’estero hanno iniziato a far ritorno in quello che oggi è Israele e ad acquistare proprietà dai palestinesi che vi vivevano. I giordani hanno riconquistato i territori tra il 1948 e il 1967. Ora gli israeliani affermano che sono di nuovo loro.
La controversia a Sheikh Jarrah prende una piega politica poiché il quartiere fa parte di Gerusalemme Est, che i palestinesi intendono nominare capitale di un futuro Stato palestinese comprendente la Cisgiordania e Gaza. Molti israeliani, indipendentemente dalla loro opinione sulla creazione di uno Stato palestinese, reputano che Gerusalemme debba restare “una capitale ebraica per il popolo ebraico” e sotto il controllo israeliano.

3. Che cosa c’entra Hamas con questo? Gli scontri fra Israele e i palestinesi a Gerusalemme hanno unito i palestinesi di tutto il mondo, al pari delle controversie più ampie concernenti gli sfollamenti e la privazione dei diritti dei palestinesi a opera di Israele. Hamas, il gruppo militante islamista che controlla la striscia di Gaza, che si trova a poco meno di 100 chilometri a sud di Gerusalemme, si considera il difensore dei palestinesi.
Hamas è fondamentalmente una organizzazione islamica nata da un ramo dei Fratelli musulmani. Questo movimento si preoccupa quindi molto anche della moschea al-Aqsa, che i musulmani chiamano il “nobile santuario”.
Mercoledì 12 maggio Israele ha assassinato diversi comandanti di Hamas per rappresaglia al lancio di razzi su Tel Aviv, Ascalona e il principale aeroporto internazionale di Israele nella città di Lod.

4. Quale ruolo svolgono l’ebraismo e l’islam in questa vicenda? In fondo il conflitto israelo-palestinese è una disputa per i territori. Ma la religione è spesso il veicolo di questi conflitti che vedono opposte due etnie e due religioni diverse. Non stupisce che queste tensioni tendano a esacerbarsi in occasione delle feste religiose, sia ebraiche sia musulmane.
Tuttavia l’obiettivo principale di Hamas non è la guerra contro l’ebraismo, quanto piuttosto contro Israele, che occupa territori che reputa essere intrinsecamente palestinesi.
Hamas si è radicalizzato nel corso degli anni, proprio come i nazionalisti ebrei. Lunedì 10 maggio, in occasione della Giornata di Gerusalemme, una festa nazionale che celebra l’unificazione della città, nazionalisti ebrei hanno dimostrato nella città vecchia di Gerusalemme, spingendosi fin nel quartiere musulmano. La manifestazione ha suscitato la collera di molti palestinesi. Già lo scorso aprile ebrei nazionalisti avevano dimostrato a Gerusalemme scandendo lo slogan “Morte agli arabi”.
Come spesso accade, le rivendicazioni esclusive di certe parti della città santa si trasformano in scontri mortali. (ProtestInfo/RNS; trad. it. G. M. Schmitt)

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