Crisi della religione in Europa?

Negli ultimi decenni il processo di secolarizzazione in Europa è diventato sempre più marcato

07 settembre 2018

Il processo di secolarizzazione, in Europa, si è tradotto ormai in leggi che hanno cambiato il volto di molti Paesi. Basta pensare all’Irlanda, un tempo annoverata tra i Paesi più cattolici e conservatori al mondo e oggi guidata da un Primo ministro di origini indiane e che ha sostenuto i diritti degli omosessuali, per capire quanto il processo sia avanzato.

Avanzata della secolarizzazione
La riflessione su un’Europa sempre più secolarizzata, in realtà, ha radici profonde: già alla fine del Settecento il poeta tedesco Novalis rimpiangeva "i bei tempi in cui l’Europa fu terra cristiana". In tempi più recenti, l’Unione europea si è interrogata sull’opportunità di inserire nella Costituzione un riferimento alle proprie radici giudaico-cristiane. A marzo del 2018 il quotidiano britannico The Guardian è arrivato addirittura a parlare della "nascita di un’Europa non cristiana" che si muove verso una dimensione post-cristiana.

Presenza della religione
Eppure, di religione si discute: la presenza dei leader religiosi nel discorso pubblico, soprattutto in Italia, è costante, le riflessioni sul ruolo dell’islam politico sono proposte con grande frequenza e l’ultima campagna elettorale italiana ha visto politici giurare addirittura sul Vangelo. Si tratta di questioni complesse e che richiedono risposte complesse.
Olivier Roy, docente presso lo European University Institute di Firenze e uno tra i più competenti esperti di secolarizzazione e islam, sostiene che "la secolarizzazione in Europa continua. Significa che per esempio il numero di persone che vanno nei seminari della chiesa cattolica diminuisce, così come il numero di persone che vanno regolarmente a messa".

Olivier Roy

Professor Roy, c’è qualcosa di cui essere preoccupati guardando al processo di secolarizzazione?
Direi che la cosa più grave è che abbiamo un’espansione dell’incultura religiosa, il fatto che i non praticanti non conoscano praticamente per nulla la religione. Pertanto c’è una crescita del divario tra praticanti e non praticanti, verso figure di “vagamente credenti”.

La religione, oggi, in Europa, ha un problema o è un problema?
La religione, in generale, e in particolare la chiesa cattolica, ritiene di offrire una soluzione ai malesseri della nostra epoca. La religione propone una risposta al mix di edonismo e nichilismo che caratterizza la nostra società, e ritiene di poter offrire una concezione chiara della legge naturale su come dovrebbe funzionare una società basata sull’amore e sulla speranza. Ma le persone secolarizzate vedono nella religione un problema. Il più rilevante è con l’islam, ovvero la violenza terroristica, ma siamo anche di fronte a un’ostilità diffusa dell’opinione pubblica nei confronti della chiesa cattolica: pensiamo all’importanza di questioni come la pedofilia in Italia, nell’Europa del Nord o negli Stati Uniti. Perciò possiamo dire che su questioni come l’aborto, il matrimonio omosessuale, o lo spazio religioso nella sfera pubblica è in corso un divorzio tra quella che definirei la maggioranza del pubblico e le comunità di fede di qualunque confessione.

L’Europa si secolarizza sempre di più

C’è una continuità tra la religione e la violenza? A suo parere esiste una vera connessione tra queste due dimensioni o siamo di fronte a un pregiudizio?
Questa è una questione rilevante per la grande maggioranza dell’opinione pubblica europea e per molti esperti. I semi della violenza si trovano dentro il Corano? La risposta della grande maggioranza dei musulmani è che no, non è vero, perché l’islam è una religione di pace e si è mal interpretato il Corano, che invece contiene un messaggio di pace da portare al mondo. È evidente che in seno all’islam la tensione è più forte. Personalmente credo però che quello di cercare la causa dei problemi di oggi nei testi sacri - dall’Antico e Nuovo Testamento al Corano -, sia un falso problema. Ciò che conta è che cosa i credenti fanno della religione, e la grande maggioranza dei credenti vive la propria religione come una religione di pace. Va anche detto che la politicizzazione e l’ideologizzazione della religione a fini politici e criminali non appartiene soltanto all’islam.

Negli ultimi anni abbiamo cominciato a ragionare in termini di scontro di civiltà tra cristianesimo e islam. Che ruolo gioca per davvero la religione in questa dinamica?
Quando si parla di scontro di civiltà si implica che non si tratti soltanto di religione, ma che ci siano due culture opposte, quella occidentale e quella mediorientale, entrambe fondate su una religione. Il problema però è che questo non è più vero: la cultura europea non è più cristiana e nel mondo islamico è in corso una crisi della cultura tradizionale islamica. La violenza religiosa nel mondo islamico proviene da una deculturazione dell’islam. La violenza nasce quando tra le seconde generazioni e i convertiti si verifica una rottura tra la tradizione dei genitori e la cultura del Paese. Direi che è un fenomeno visibile maggiormente nell’islam, ma lo ritroviamo anche tra le altre fedi.

Storicamente ragioniamo di religione da una prospettiva cristiano-centrica, ma in un mondo multilaterale potremmo aver bisogno di una prospettiva multiconfessionale. Crede che sia necessario pensare a un nuovo modo di affrontare le questioni religiose?
Credo che oggi le religioni non siano più il luogo della cultura tradizionale. È insieme una fortuna e una sfortuna. È una sfortuna perché la religione diventa incerta e non è più radicata nella tradizione, occorre cercarla. Ma è anche una fortuna perché le religioni giustamente hanno una vocazione universalista, non sono il luogo di una cultura in particolare. In questo periodo di globalizzazione è necessario che le religioni ritrovino la loro vocazione universale e universalista invece di identificarsi in gruppi etnici o nazionali, come invece fanno oggi i movimenti populisti. (intervista a cura di Marco Magnano, in “www.riforma.it”; adat. Paolo Tognina)

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