Legalizzare la cannabis in Svizzera per migliorare la qualità di vita?

Intervista con Jean-Félix Savary, segretario generale del Groupement romand d’études des addictions, associazione romanda di studi sulle dipendenze

27 febbraio 2017

Qual è stato l'atteggiamento della Svizzera nei confronti della droga negli ultimi decenni?
Negli anni 1980 la Svizzera si è mostrata un po' più dura degli altri paesi in materia di repressione, anche se la guerra contro le droghe si era già radicalizzata dappertutto in Europa. Furono create “scene aperte” per confinare il consumo dentro sorte di ghetti.
All'inizio degli anni 1990 ha fatto seguito una crisi. Il mercato della droga si era particolarmente sviluppato nelle città e gli abitanti dovevano far fronte a importanti problemi di ordine pubblico (criminalità, consumo visibile in strada, spaccio). L'argomento centrale dell'epoca era che bisognava difendere la qualità di vita nelle città.

Siccome il sistema svizzero attribuisce un certo potere agli attori locali, poliziotti, medici, operatori sociali e commercianti si sono accordati. Hanno formulato una diagnosi e hanno proposto soluzioni concrete. Una di queste consisteva nel prescrivere eroina ai tossicomani sotto controllo medico. Sono anche stati creati spazi di consumo protetti. In entrambi i casi l'idea era di disciplinare il consumo per limitare i problemi per la società e fare del lavoro sociale. Possiamo quindi constatare che dagli anni 1990 la priorità è cambiata. Si è smesso di voler sradicare la droga e si è cercato di migliorare la qualità di vita di ognuno.

La Svizzera è tornata a una politica repressiva che non ha avuto i risultati auspicati

A che punto è attualmente il dibattito sulla depenalizzazione della cannabis?
Nel 2003 il governo aveva preparato un progetto di legge che includeva una politica di riduzione dei rischi. Per esempio le misure enunciate prima e lo smantellamento del mercato nero.
Infatti tra i danni dovuti alla cannabis bisogna menzionare la creazione di un mercato importante e molto nefasto. Occorreva quindi regolarlo per meglio controllarlo. Ma il Parlamento ha respinto la seconda parte della legge e la Svizzera è tornata a una politica repressiva che non ha avuto i risultati auspicati.
Conseguenza: da qualche anno gli attori locali si riuniscono di nuovo. Si sa che che il divieto non ha alcun impatto sul consumo, ma che è pregiudizievole per la salute dei consumatori e determina altri problemi. I rappresentati della sicurezza pubblica dimostrano la loro impotenza nella lotta contro i traffici.

La problematica è sempre quella delle città: come fare in modo che restino attrattive per le imprese e i privati?
Oggi alcune grandi città [Ginevra, Zurigo, Basilea e Berna, ndr.] hanno i propri progetti pilota di controllo della cannabis. Si tratta di progetti di ricerca, con un monitoraggio scientifico serio. Ma occorre tener presente che il governo è cauto: in Svizzera c'è bisogno di fare consenso, di trovare maggioranze. I processi sono lunghi. Ciò nonostante le città dovrebbero concretizzare i loro progetti entro la fine dell'anno. (intervista a cura di Noriane Rapin; da Réforme; trad. it. G.M.Schmitt/vocevangelica.ch)

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