La leggerezza del teologo e scrittore

Un incontro con Kurt Marti in occasione del suo 90.esimo compleanno

12 febbraio 2017

(ve) Riproponiamo, in occasione della morte del pastore e poeta protestante Kurt Marti, un ritratto pubblicato sei anni fa dall'agenzia epd.
Quel signore alto e occhialuto che le immagini mostrano sempre cordiale e con lo sguardo vivace, ha composto dai tempi della sua prima raccolta “Boulevard Bikini” (1958) centinaia di poesie, molte delle quali in dialetto bernese. Il suo spettro spazia dalla poesia dedicata alla natura a liriche più concrete e “impegnate”. Inoltre ha scritto saggi, racconti brevi e un romanzo. Insignito di numerosi premi letterari e teologici, la sua scrittura esplora differenti mondi, “dalle ‘altezze’ alle ‘profondità’, spaziando dai mondi ‘degli spiriti a quelli delle carni’” (“Neue Zürcher Zeitung”).

Teologo e scrittore
Alla domanda se si sentisse più teologo o più scrittore, Marti rispose una volta: “Per me le due cose sono strettamente collegate”. Il professore di teologia Eberhard Jüngel ha definito Marti - che respinge l’etichetta di “poeta cristiano” - un “teopoeta” i cui testi sono allo stesso tempo teologici e poetici. E lo scrittore lucernese Peter Bichsel lo considera un “gran maestro” della letteratura: “Da nessun altro ho imparato così tanto”.
Marti è giunto alla teologia come “la vergine giunge al parto”, per citare le sue stesse parole. Tra i suoi antenati ci sono “contadini, segretari comunali, medici, artigiani e di quando in quando anche buoni a nulla e bancarottieri, ma non vi fu mai un pastore”.
Dalla teologia il figlio di un notaio si attendeva indicazioni sul grande mistero della vita. Segretamente, riconosce, sperava persino in “qualcosa come l’illuminazione”. “Illuminazione su che cosa? Su tutto! Non da ultimo anche su se stesso”.

Testimone del suo tempo
Malgrado la limitata circonferenza toracica e sebbene portasse occhiali e soffrisse di una debolezza visiva all’occhio destro, il 1. gennaio del 1940 fu reputato abile per la fanteria, ricorda Marti nella sua autobiografia “Ein Topf voll Zeit” (Nagel & Kimche), nel contempo una testimonianza della storia svizzera tra il 1928 e il 1948. Padre di quattro figli, criticò il clima della Guerra Fredda, si schierò contro la guerra del Vietnam e contro le armi atomiche e l’energia nucleare. Mise in guardia contro la devastazione delle Alpi e denunciò la miseria nelle nazioni in via di sviluppo. Ciò gli procurò, negli ambienti ecclesiastici bernesi, piuttosto conservatori, la nomea di comunista o di marxista cristiano e gli costò la nomina alla cattedra di omiletica presso la Facoltà di teologia di Berna.

Poeta e scrittore, pastore riformato, è stato un acuto osservatore del clima politico elvetico

Cristianesimo illuminato
Come curatore di anime e autore, Marti, allievo di Karl Barth (1886-1968) rappresenta un cristianesimo moderno e illuminato senza false consolazioni. La religione cristiana non può impietrirsi nella istituzione chiesa (“Lo Spirito Santo non è una pianta ornamentale”). La nota di fondo che percorre la sua opera è la consapevolezza dell’impotenza dell’uomo nei confronti delle tendenze distruttive del suo tempo.
Nelle sue note “Orazioni funebri” (le “Leichenreden”, pubblicate in italiano da Crocetti editore, N.d.r.) afferma sobriamente: “Piangiamo quest’uomo / non perché è morto / piangiamo quest’uomo / perché non mai ebbe l’ardire / d’esser felice”.

Estrema sobrietà
L’esperienza del pastorato, la recente perdita di sua moglie Hanni Marti-Morgenthaler e il raggiungimento di un’età biblica, hanno spinto Marti a maturare una concezione sobria dell’eternità: “Dubito che abbia un qualche senso che tutti risusciteremo per poi incontrarci di nuovo in cielo”, ha affermato di recente in un’intervista alla “Berner Zeitung”. Ai funerali ha sempre detto di ignorare se ci sia o meno un aldilà: “Non riesco davvero a credere che continueremo a vivere come individui. Dio sa ciò che fa con me, ma io non lo so” (trad. it. G. M. Schmitt).

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