La grande tensione religiosa

Una riflessione critica sul ritorno del religioso e la crescita degli integralismi che non risparmia alcuna confessione né comunità di fede

29 luglio 2015

(Henry Tincq) André Malraux aveva dichiarato, nel 1955, in un'intervista rimasta celebre, che "il problema capitale della fine del secolo sarà il problema religioso”. Più tardi, invitato a chiarire la sua affermazione, aggiunse: “Mi è stato messo in bocca che il 21. secolo sarà religioso. Sia ben chiaro che non l'ho mai detto, perché non ne so nulla. Quel che ho detto è più incerto, ma non escludo l'eventualità di un evento spirituale su scala planetaria”.

Mutamenti del panorama religioso odierno
André Malraux non aveva torto. In trenta anni si è verificato in Francia e nel mondo un incredibile mutamento della scena religiosa. Negli anni 1960-1970 i profeti di un mondo senza Dio riscuotevano molto successo. Da Marx, Nietzsche e Freud, i “maestri del sospetto”, Dio era morto e sepolto. Senza fiori né corone. I nuovi filosofi e politologi affermavano che il mondo era entrato in un'era postreligiosa. Erano fermamente convinti del “disincanto” della società moderna (Marcel Gauchet), della morte della religione, della laicizzazione dei costumi, delle idee, della politica. Scrivevano che il progresso della ragione scientifica e tecnica conduceva ineluttabilmente a una “uscita” dalla religione.
E come si sarebbe potuto, all'epoca, dargli torto? Tutto convergeva: l'urbanizzazione e la fine della “civiltà parrocchiale” simboleggiata dal campanile del villaggio; il declino delle chiese storiche; l'assimilazione di un ebraismo in diaspora; il dominio nei paesi musulmani di un nazionalismo laico, arabo o turco; l'invasione, nei paesi ricchi, di modelli di consumo materiale; la trasformazione della posizione della donna; l'emergere di una civiltà del tempo libero; l'onnipresenza di media che forgiano le menti! Il mondo non aveva più bisogno di religione.

La rivincita di Dio
Ma gli stessi che avevano osservato questa massiccia ascesa dell'individualismo, della secolarizzazione, dell'indifferenza religiosa, confessarono, qualche decennio dopo, che era in atto una “rivincita di Dio”. Che Dio era stato semplicemente “rimosso” e che non chiedeva che di risuscitare. Nel 1968 il sociologo americano Harvey Cox scriveva un capolavoro intitolato La città secolare, che esprimeva questa fatalità della scomparsa della religione. Trenta anni dopo lo stesso ricercatore pubblicava un altro libro intitolato "Fire from Heaven: The Rise of Pentecostal Spirituality and the Re-shaping of Religion in the 21st Century" nel quale analizzava il successo dei gruppi evangelicali e pentecostali negli Stati Uniti e nelle magalopoli dell'America latina, dell'Asia e dell'Africa.
Analogamente, nel 1992, l'islamologo Gilles Kepel, ne "La revanche de Dieu" (“La rivincita di Dio”), dimostrava con brio la straordinaria concomitanza, a partire dalla fine degli anni Settanta, dei fenomeni religiosi identitari: nell'ebraismo, con l'ascesa di correnti ortodosse e di partiti religiosi in Israele; nell'islam, con il successo della rivoluzione iraniana nel 1979 e la rapida avanzata di gruppi islamisti in Egitto o in Algeria; nel cristianesimo, con l'affermazione di correnti evangelicali protestanti e la “nuova evangelizzazione” militante perorata da un papa come Giovanni Paolo II.

Nuova vitalità delle religioni
Tutto ciò che è accaduto da allora, sulla scena francese (per attenerci a questa), conferma tale intuizione. La comunità ebraica, prima di tutto, che è stata a lungo a maggioranza aschenazita, molto integrata, gode di una rinascita e di una grande visibilità. Conta circa 150 sinagoghe, contro una trentina negli anni Sessanta; quasi duecento scuole ebraiche sotto contratto contro 45 quarant'anni fa. Il pubblico delle radio comunitarie è in crescita e non si contano più i “ritorni” alla casherut, allo shabbat, allo studio ebraico nelle lezioni di Talmud-Torah. O il “pellegrinaggio” di ritorno in Israele (aliyah), per ragioni di sicurezza come abbiamo scritto, ma anche per ragioni religiose. Questa neo-ortodossia ebraica è dovuta al ritorno e alla preponderanza degli ebrei sefarditi dell'Africa del nord, la cui fede è più espansiva, ma anche alle minacce che pesano su Israele e alla recrudescenza degli atti antisemiti.
In trent'anni anche le chiese cristiane sono cambiate. Si mostrano più visibili sulla scena pubblica, intervengono nei dibattiti sociali o etici (non soltanto contro il “matrimonio per tutti”). Minoritari e decomplessati, i cristiani affermano maggiormente la loro fede. Tra i protestanti, il ramo evangelicale, più militante ed espansivo, è diventato maggioritario. Ha superato - in numero e in influenza - quel vecchio protestantesimo luterano e riformato che è stato per molto tempo il nocciolo duro del protestantesimo francese, ma che oggi perde velocità (come in Germania, nei paesi scandinavi e in quelli dell'est).

Un islam sedentarizzato
Ma è soprattutto nella popolazione musulmana che il mutamento è stato più radicale. Negli anni Settanta si parlava di un milione di musulmani in Francia. Oggi sarebbero cinque milioni, ma nessuno lo sa con esattezza. Come definire chi è “musulmano”? L'islam delle prime generazioni di immigrati era vissuto come un “islam di esuli”, giunti  a lavorare in Francia ma che non sognavano altro che di ritornare nei propri paesi per ritrovarvi la terra e la religione dei loro “padri”. Un giorno un vecchio fedele musulmano mi ha detto: “Per me l'islam è come la nave che mi porta a casa da Marsiglia a Tangeri”!
La grande svolta è rappresentata dalla sedentarizzazione della popolazione musulmana a partire dagli anni Settanta e dalle misure di ricongiungimento familiare. Si è allora preso coscienza che i lavoratori temporanei che venivano dal Marocco o dall'Algeria non soltanto sarebbero rimasti in Francia, ma vi avrebbero fatto dei figli. Se la generazione dei padri “esuli” non aveva più che un rapporto lontano con la religione, i figli nati in Francia vogliono ritrovare la religione, divenuta un fattore identitario per una generazione culturalmente combattuta. Delusi dai tentativi di recupero politico (Le “marce dei beurs”, i figli di immigrati maghrebini), arrivano persino a sovrainvestire nella religione: velo, preghiere, ramadan, fino al pellegrinaggio alla Mecca. Un atteggiamento che si è imposto come una compensazione dei fallimenti dell'integrazione (scolarizzazione, disoccupazione, insicurezza).
Oggi in Francia non c'è dunque più l'islam vissuto come una lacerazione e un esilio. L'islam sedentarizzato si vive, si esprime, si trasmette su tutto il territorio. Bisogni religiosi e comunitari si fanno più pressanti. Più o meno abilmente, i governi, sia di destra sia di sinistra, si sono visti obbligati, malgrado il contesto laico, a trattare questioni delicate come la costruzione di luoghi di culto, il velo a scuola, il burqa, la formazione degli imam. Le polemiche sono frequenti, in gran parte legate all'incapacità di questa comunità di far emergere una élite capace di farsi carico di questa riaffermazione islamica e di guidarla.

Un religioso patologico?
Tutte queste forme di rinascita religiosa hanno in comune il fatto di essere una reazione di fronte alla “modernità”, al rilassamento dei sistemi di trasmissione (scuola), all'urbanizzazione massiccia, alla disaffezione per la politica, alla mancanza di punti di riferimento morali. Ma alcune sono patologiche, offensive, aggressive. Favoriscono il ripiego su comunità chiuse, provocando derive settarie e violente che suscitano le reazioni di paura e di rifiuto alle quali assistiamo oggi.
Nell'islam il fenomeno più spettacolare è l'ascesa del salafismo. Il salafismo si inserisce nella linea dei teologi rigoristi dell'islam wahhabita, dogma ufficiale in Arabia Saudita. Pretende di essere l'islam autentico, quello delle origini. Il termine salaf  indica i “pii antenati”, i compagni di Maometto, dei quali gli adepti devono imitare il comportamento. Le loro usanze nel campo dell'abbigliamento - le donne in burqa e guanti neri (come le mogli del profeta), gli uomini in qamis (lunga camicia che cade su pantaloni corti) - riflettono l'immagine anacronistica di un'epoca idealizzata. Per loro la separazione dei sessi è ossessiva e rifiutano qualsiasi mescolanza.
Provenienti dall'immigrazione o convertiti all'islam, i salafiti sono giovani emarginati e declassati. Ad attirarli è il discorso di rottura con la società occidentale. Indossare il burqa - vietato nello spazio pubblico da una legge del 2011 - è un modo di rifiutare un'autorità familiare ritenuta troppo integrata o permissiva. Pur essendo molto minoritari (circa 15.000 secondo il ministero dell'interno) i salafiti reclutano nei quartieri popolari. Matrice delle derive jihadiste,  funzionano come una setta: rottura con l'ambiente, manipolazione mentale, concezione di un mondo malvagio e corrotto.

Correnti nel cristianesimo
Anche il protestantesimo è attraversato da movimenti che sfiorano l'integralismo. Gli evangelicali (da distinguere dagli evangelisti che sono i redattori dei vangeli) non devono certo essere comparati ai salafiti, ma in comune con loro hanno una volontà di ritorno radicale alle origini della loro religione e un desiderio di rinascere - vengono chiamati born again, nati di nuovo, convertiti - in un mondo più puro.
In Francia si contano un milione di protestanti e si stima intorno ai 400.000 il numero degli evangelicali, per i quali la “conversione” è l'atto principale della loro vita e la lettura della Bibbia uno dei loro gesti più quotidiani. Sono raggruppati in chiese riconosciute, ma anche in reti indipendenti nate da correnti migratorie dall'Africa o dall'Asia. Oggi a Parigi gli evangelicali cinesi sono più numerosi dei protestanti tradizionali! Il loro successo è dovuto all'accoglienza offerta a questi individui sradicati nelle riunioni di preghiera, di evangelizzazione, di formazione biblica, al carisma del “pastore” autoproclamatosi tale, allo stesso tempo animatore, predicatore, esorcista  terapeuta e a liturgie calorose che non hanno nulla a che vedere con l'austerità delle celebrazioni cattoliche o protestanti tradizionali.
La lettura biblica tra gli evangelicali è fondamentalista e la loro visione della società è fondata su valori familiari e sessuali intransigenti. Binaria, questa visione comprende, da un lato, i puri o le forze del bene e, dall'altro lato, i corrotti o le forze del male. In materia di costumi gli evangelicali abbracciano spesso le posizioni del magistero cattolico sulle questioni sociali: rifiuto del matrimonio omosessuale, dell'aborto, dell'eutanasia, della sessualità al di fuori del matrimonio, dell'omogenitorialità.

Integralismo cattolico
Anche i cattolici “identitari” sono sempre più visibili. Sono scesi in strada per difendere il matrimonio tradizionale, sono molto preoccupati per il “degrado” dei valori familiari, della presunta intrusione della “teoria di genere” nella scuola, dell'apertura del diritto alla procreazione medicalmente assistita (PMA) e alla gestazione per conto di altri (GPA), dell'imminente legge sulla fine della vita, della “banalizzazione” dell'aborto. Si reputano inoltre vittime di una sorta di “cristianofobia” sui palchi teatrali (il caso Golgota Picnic), della profanazione di chiese, di restrizioni alla laicità (il ritiro dei presepi di Natale).
Per quanto riguarda gli “integralisti” cattolici puri e duri, essi sognano un ritorno a un ordine antico, rotto secondo loro dal Concilio Vaticano II degli anni Sessanta e dai papi che l'hanno seguito. Essi non hanno mai accettato le nuove regole della chiesa: la libertà religiosa, cioè il diritto di ciascuno di credere nella religione di sua scelta; l'ecumenismo con i non cattolici (protestanti, ortodossi, anglicani ecc.); il dialogo con gli ebrei, i musulmani e i buddisti. Nostalgici di un ordine sociale, politico e religioso passato, militano ancora per la restaurazione della chiesa di un tempo, che governava i costumi e le coscienze. Prima delle sue dimissioni, papa Benedetto XVI aveva tentato di reintegrarli, ma, malgrado importanti concessioni (rimozione delle scomuniche, nuove agevolazioni per la messa in latino) si è arenato davanti alla loro testardaggine.

Religioni e laicità
Non bisogna confondere tutte queste forme di radicalismo religioso. Non ci sono molte cose in comune - salvo talvolta la violenza verbale - tra i salafiti che difendono il burqa, la sharia e la guerra santa e gli integralisti cattolici appassionati di tonache e di messe in latino. Bisogna dunque guardarsi dal mescolare tutto.
Ma le religioni sono diventate fattori di riaffermazione delle identità, minacciate dalla modernità e dalla globalizzazione e subiscono oggi, a causa delle derive settarie e violente che non riescono più a controllare, un vero rifiuto da parte dell'opinione pubblica, che culmina in Francia dopo gli attentati contro Charlie Hebdo e il supermercato kosher Hyper Cacher a Porte de Vincennes.
Bisogna cadere in questa condanna del religioso? Non dobbiamo dimenticare che queste religioni, islam compreso, sono serbatoi di esperienze e patrimoni considerevoli di valori, di culture, di radici e di tradizioni. Rispondono al bisogno di ogni essere umano di inserirsi in un lignaggio. Sono istanze di senso e di norme e, a questo titolo, sono legittime per fare proposte sull'educazione, sulla bioetica, sulla famiglia, sulla fine della vita. Sono presenti sui terreni della solidarietà con gli esclusi, i rom, i sans-papiers e i carcerati. Presenti anche nei quartieri difficili per favorire una “pace sociale” alla quale aspirano gli eletti che suscitano gruppi di dialogo religioso a Lione o a Marsiglia. Ma le religioni potranno ritrovare il rispetto e esercitare di nuovo il loro ruolo soltanto liberandosi dagli integralismi, rispettando le norme della laicità e favorendo tutte le forme di dialogo con la società. (da Le Monde, trad.it. G.M. Schmitt/voceevangelica.ch)