La violenza e la religione

Per il presidente dell'Unione delle organizzazioni islamiche nel Canton Zurigo VIOZ, Mahmoud El Guindi, la violenza non può essere giustificata con la religione

18 novembre 2015

Il presidente dell'organismo che riunisce le organizzazioni musulmane di Zurigo, Mahmoud El Guindi, parla in un'intervista del terrore di Parigi e degli imam svizzeri.
 
Qual è stato il suo primo pensiero appena ha saputo degli attentati di Parigi?
Ero scioccato - e triste per le numerose vittime. Una cosa simile è inconciliabile con una religione.
 
Lo Stato islamico, però, considera il massacro parte integrante della sua guerra per l'islam...
Ha poco a che fare con la religione. Ovviamente le persone che intendono la politica in modo così terribile cercano un qualche fondamento nei libri sacri. E qualcosa trovano sempre. Troverebbero però anche il contrario. Come la storia mostra, la violenza si trova in tutte le religioni.
 
A che cosa allude?
Mahatma Gandhi disse: “Ci sono cose per cui sono disposto a morire, ma non ce ne è nessuna per cui sarei disposto ad uccidere”. Venne ucciso da un fanatico indù. Il premio Nobel per la pace Yitzhak Rabin fu vittima di un estremista ebreo. E l'egiziano Anwar al-Sadat, anch'egli premio Nobel per la pace, fu assassinato da un fondamentalista islamico. Rimane il cristianesimo, la religione pacifista. Ha alle spalle due guerre mondiali e l'Olocausto. Ovviamente ciò non avvenne perché gli artefici erano cristiani, ma nonostante che fossero cristiani. La violenza è un fenomeno umano, non un fenomeno religioso.
 
Però prima vi ha già fatto cenno: nel Corano vi sono alcuni passaggi che legittimano la violenza e l'uccisione degli infedeli...
Bisogna considerarli nel loro contesto storico. Queste sure fanno riferimento a periodi di guerra come quelli vissuti dal profeta, non al nostro presente. Nel Corano si trovano anche passaggi come questo: “Chiunque uccida un uomo, sarà come se avesse ucciso l'umanità intera. E chi ne abbia salvato uno, sarà come se avesse salvato tutta l'umanità”.
 
Può allora escludere che nelle moschee svizzere venga predicata la violenza contro gli infedeli?
Spero che ciò non succeda. E non sono a conoscenza di nulla del genere. In passato abbiamo avuto difficoltà con qualche imam, ma nel frattempo ha avuto luogo un processo di maturazione. Ritengo che gli imam in Svizzera operino con ragionevolezza.
 
Il fatto che in Svizzera non vengano formati imam rappresenta un problema? Per questo provengono dall'estero e conoscono appena le realtà locali...
È una carenza. Vedremmo con favore una formazione per gli imam in Svizzera. Ma l'islam non è riconosciuto quale istituzione di diritto pubblico, perciò il finanziamento non è garantito.
 
Le moschee possono fungere anche da luogo d'incontro di fondamentalisti, dove vengono reclutati combattenti dell'IS. Che cosa fate voi per impedirlo?
Non è da escludere che certa gente frequenti le moschee. Come religione siamo aperti a tutti e non proibiamo a nessuno di venire da noi. Allo stesso tempo rispettiamo e apprezziamo l'ordinamento giuridico svizzero, al quale tutti i membri devono attenersi. Nella maggior parte dei casi è dai media che veniamo a sapere che qualcuno è andato in Siria. Allora ne approfondiamo le cause e lavoriamo a stretto contatto con le autorità. Se una famiglia teme che un figlio o una figlia potrebbe aderire all'IS, affrontiamo il caso non soltanto a livello di politica di sicurezza, ma anche sotto l'aspetto sociopedagogico. È chiaro che spesso i problemi sono complessi.
 
Teme che dopo gli attentati di Parigi la vita dei musulmani svizzeri diventerà più difficile?
Direi piuttosto di no. Forse qualcuno lo vorrebbe. Ma i musulmani sono in Svizzera già da parecchio tempo e tutto sommato sono integrati relativamente bene. Ciò dipende anche dal fatto che i 450.000 musulmani svizzeri provengono in maggioranza da culture di tipo europeo. Bosnia, Albania e Turchia hanno contribuito con circa il 30% ciascuno. In Francia, invece, si sono stabiliti soprattutto nordafricani delle ex colonie francesi e sono grandi i problemi di integrazione.
 
Il divieto dei minareti, tuttavia, rivela chiare riserve degli svizzeri nei confronti dei musulmani...
Sì. Per quanto ne so sono due i paesi che vietano i minareti: la Corea del Nord e la Svizzera. Ma non sono necessari minareti per arrivare in paradiso. I musulmani possono pregare anche senza. Ci stupisce invece che gli svizzeri, altrimenti così razionali, siano giunti a questa idea. Non risolve nessun problema, come per esempio quello della presenza sproporzionata di musulmani nelle carceri. In compenso il divieto ha permesso ad alcune persone di festeggiare un successo politico. Proprio coloro che sostengono la separazione tra politica e religione hanno usato la religione per fare politica. (da Tages Anzeiger; trad. it. G.M. Schmitt)